Goodnight and Good Luck

(di Rolando Pezzati)

«Ho iniziato dicendo che la storia la facciamo noi. Se continueremo così la storia prima o poi si vendicherà e il castigo non impiegherà molto ad arrivare.

Una volta tanto elogiamo l’importanza delle idee e dell’informazione. Sogniamo anche che una qualche domenica sera lo spazio occupato normalmente da Ed Sullivan sia occupato da un attento sondaggio sullo stato dell’istruzione in America.
[…]
Questo strumento può insegnare, può illuminare, sì, può anche essere fonte di ispirazione, ma può farlo solo ed esclusivamente se l’essere umano deciderà di utilizzarlo per questi scopi.Altrimenti non è che un ammasso di fili elettrici e valvole in una scatola. Buonanotte e buona fortuna.»

Il monologo finale di “Good Night and Good Luck” di George Clooney e messo in bocca al suo protagonista Edward Murrow, esprime una posizione molto esplicita sul ruolo dell’informazione e, probabilmente, anche con il senno di poi dell’occhio contemporaneo, la sua degenerazione. Il contesto in cui viene fatto è storico; in particolare il quadro è quello degli Stati Uniti segnati dal maccartismo, che ha mietuto molte vittime, tra cui giornalisti e pensatori liberi. Perde importanza in questo caso poiché la riflessione si libera dei limiti temporali e situazionali per approdare a una più generale concezione (anche il medium della televisione, in questo caso, può essere concepito più largamente come i contemporanei mass media).

Perché, allora, inserire queste parole in un articolo sugli articoli e sui giornali? Per appropriarmi di queste parole e farle mie.

Ero un ‘quartino’ (ultimo anno di questa distinzione; dopodiché scomparve definitivamente il binomio ginnasio – liceo, almeno nominalmente), di quelli che vengono disprezzati puntualmente ogni anno, per il solo fatto di essere nuovi arrivati, quando entrai in Inter Nos, con tante difficoltà. A quei tempi il caporedattore era Andrea Delia e il mio articolo di esordio fu “Perché dovremmo molestare la lingua italiana?”; un excursus semi patriottico che, come intenzione, aveva principalmente quella di sottolineare la bellezza della lingua italiana, contestualmente a un rifiuto di usi eccessivi o grossolani di parole in lingua inglese. Non volevo, ovviamente, indicare una ‘purezza’ della lingua da difendere dai forestierismi (per semplicità gli usi consolidati si possono tranquillamente mantenere). Volevo condannare tutti quegli usi di troppo, con presupposta motivazione quella del miglioramento e aggiornamento (o peggio: per fare in modo che il popolo certe parole della politica non le capisca). Era un articolo molto aggressivo; dalla mia timidezza e sobrietà facevo un attacco ai parlanti. Prova di coraggio? Rito di iniziazione? Tentativo creativo? Qualcosa sicuramente lo era; e mi sancì nel pantheon dei redattori Inter Nos. Lo ricordo perfettamente; se è possibile, però, che non si ritrovi più online, anche meglio.

Un anno dopo ero caporedattore. Non necessariamente per mie capacità eccelse, quanto per necessità. Ecco Edward Murrow: ho sempre preso gli incarichi giornalistici come una vocazione alla condivisione, innanzitutto, ma anche alla formazione e all’informazione. Ci sono riuscito? Assolutamente no; ma il tentativo era questo, fin dagli albori. Solo che ne ho preso consapevolezza recentemente. E la mia storia, il mio cursus honorum – per divertirci un po’ – è variegato e divertente. Ho scritto di tutto, penso… e ho corretto altrettanti articoli. Credetemi: scappate finché potete se vi offrono una posizione di editor. È una condanna a morte della vostra testa e vi obbligherà a ripassare compulsivamente la grammatica italiana, anche per i dubbi più sciocchi… ma metti che sbagli? E se correggi qualcosa che in realtà è giusto; o se, peggio, lasci per sbaglio un errore di ortografia lì, in bella vista? E se pubblichi qualcosa che ti porta una contestazione di addebito, per colpe non tue? Ma se ti assumi la responsabilità e, nel tuo profondo, sai di avere disobbedito in modo giusto, composto e per una buona motivazione, allora forse hai fatto qualcosa di giusto; lascerai comunque, anche lì, degli errori… ma sono errori casuali e non sistematici, per riprendere la distinzione della fisica. Scrivere qualcosa di eversivo non è un errore, è giustezza e onestà; scrivere ” e’ ” invece di “è“, qualcosa di casuale. Perdonatemi, fisici: non parlo la vostra lingua. Mi diverto a giocare con le definizioni perché in una certa misura sono specchio della realtà e io lo colgo; lo colgo, sì, ma pochissimo.

L’invito che vi porgo è allora il seguente: unitevi a Inter Nos. Generazioni future e presenti, venite, accorrete. Il dibattito pubblico è una variabile della città che ci dice tanto sulla sua condizione; e se pensiamo alla stampa contemporanea, be’, Edward Murrow, non rivoltarti nella tomba…

Continuerò a lavorare al giornale (non chiamatelo giornalino; non è neanche piccolo nel formato), ma non potrò più condurne la linea editoriale. Un giornale controlla i governanti, li critica, a volte aspramente e li mette in difficoltà.

Quest’anno ho deciso di candidarmi alla rappresentanza degli studenti in consiglio d’istituto. La ritengo un passaggio obbligato: vedo tante persone che tentano questa autodistruzione senza, magari, avere mai partecipato alla vita del Liceo. L’interesse personale, in questi casi, va eliminato. Un giornale può avere le stesse finalità di un politico, se entrambi sono giusti e corretti e non mirano all’elitarismo.

Ho pensato di annunciare questa scelta tra le righe di questo giornale, in mezzo alle quattro mura virtuali di Inter Nos che sempre mi hanno ospitato: il motivo è doppio. Innanzitutto ho scritto tante volte delle critiche ai candidati, poiché la responsabilità delle interviste era tutta mia; in secondo luogo perché, invece di sfruttare Instagram e altri social che propinano l’istantaneità e la velocità, ho preferito la lentezza, la calma e quindi la riflessione.

Inter Nos non è tanto lontano dall’impegno profuso negli anni; cambia solo il medium. Avere una ‘vita activa‘, in tal senso, significa far parte di un organismo, rappresentarlo, renderlo vivo. Partecipare al bene della res publica, con l’aiuto di tutti e tutte (Cicerone, aiutami tu). Le modalità sono molteplici: il fine unico.

Arrivo, quindi, a dire arrivederci alla caporedazione, affidata provvisoriamente a Giovanni Rotolo, una promessa giovane, per accingermi al mondo strano e difficile delle liste elettorali. Senza troppe pretese.

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